Il sesso non è peccato


Il Decameron di Pier Paolo Pasolini è un film che non sente il passare degli anni: uscito nel 1971, mantiene inalterata la sua freschezza e, a buon diritto, può essere definito un capolavoro.
Tratto dal Decamerone di Boccaccio, è ambientato in una Napoli medioevale e gioiosa in cui non v’è traccia della peste e in cui risuonano vive e piene di gioia di vivere alcune canzoni napoletane non proprio d’epoca. 

Pasolini affronta alcune novelle di Boccaccio senza mediazioni: elimina, infatti, la “cornice” narrativa affidata dal Boccaccio ai narratori e si immerge direttamente nelle storie. 
Ciò facendo, cancella dal “presente” filmico il dato della peste (ragione per la quale i narratori boccacceschi si isolano dal mondo e iniziano a raccontare alcune storie per ingannare il tempo), cancellando, con essa, il velo di tristezza e angoscia che la morte porta con sé.
Resta, nel film di Pasolini, solo la gioia: il gusto per la beffa; la voglia di vivere; la sessualità vissuta con gusto.
Un sesso, quello del Decameron, che non è peccato: lo dice uno dei protagonisti dall’aldilà (Tingoccio, morto per il troppo sesso) e lo afferma, a chiare lettere, tutto il film pasoliniano: non è peccato, ma gioia.

Pur, lo si ripete, essendo il film un capolavoro da gustare dall’inizio alla fine, alcuni episodi sembrano meglio riusciti di altri. 
Va, innanzitutto, ricordato quello con protagonista il giovane Masetto che si finge sordomuto per poter lavorare in un convento di monache, le quali, data la prestanza fisica del giovane, non ci pensano due volte a portarselo a letto. Masetto (Vincenzo Amato), dunque, diventa l’amante di tutte le suore, badessa compresa e, per miracolo, riacquista la parola…
Decisamente notevoli anche l’episodio con protagonista Ninetto Davoli (un ingenuo Andreuccio da Perugia) e quello con Franco Citti (uno scafato Ser Ciappelletto). 
Molto belli anche quello che racconta di come la giovane Caterina (Elisabetta Genovese) riesca a giacere con il suo amato Riccardo e quello che narra la tragica storia di Elisabetta e del giovane garzone Lorenzo.
La tragedia, non scompare, dunque, totalmente dal film di Pasolini, ma essa non è dovuta all’incombere della peste alle porte della villa dei narratori, bensì alla cecità e stoltezza degli uomini che non si avvedono di come il sesso e l’amore siano sempre due accidenti della vita da incoraggiare, piuttosto che da reprimere nel sangue.

Tra gli episodi meno riusciti, quello con protagonista lo stesso Pasolini nel ruolo di un allievo di Giotto impegnato nella realizzazione di un affresco. Una storia che pare fuori contesto rispetto alle altre, in quanto focalizza l’attenzione sul rovello artistico, quando, il resto del film, si ripete, si concentra soprattutto sul senso della beffa e sulle questioni di cuori e corpi in amore.

Belle le scene di Dante Ferretti e bellissimi i costumi di Danilo Donati.

Il film vinse l’Orso d’argento al Festival di Berlino.

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