Studiare da scrittore

Christopher Isherwood, Leoni e ombre, Fazi.
Autobiografia romanzata quella contenuta in Leoni e ombre di Christopher Isherwood; un’autobiografia che oltre a narrare fatti reali e contingenti accaduti a un poco più che ventenne ragazzo inglese, racconta anche le sue fantasie, quelle “coltivate” a fini artistici. Sì, perché tale ragazzo vuole diventare uno scrittore e, assieme ad altri suoi amici con le medesime ambizioni letterarie, studia da scrittore scrivendo e riscrivendo racconti, romanzi e poesie e sviluppando la fantasia con il trasfigurare la noiosa realtà in una dimensione fantastica e romantica, oltre che piena di fatti misteriosi.
Va specificato che Isherwood romanza la propria autobiografia giovanile non nel senso che ne inventa i fatti reali (e neppure che cambia le fantasie letterarie), ma nel senso che le rende semplicemente più appetibili per il lettore, “drammatizzando” i personaggi e i loro dialoghi. Quindi il lettore si trova di fronte a un libro i cui contenuti possono dirsi in massima parte veritieri; mentre la forma con la quale essi sono riferiti tende a renderli più vivaci, più vicini alla rappresentazione scenica. 
Si è detto che il giovane Isherwood frequenta ragazzi che come lui sognano di diventare degli scrittori. Il sogno diventa realtà per tutti loro: seppur chiamati con nomi di fantasia, infatti, tra gli intimi amici di quegli anni (e del resto della vita) figurano i nomi di coloro che saranno riconosciuti come tra i più grandi scrittori inglesi del Novecento, ovvero Edward Upward, Wystan Hugh Auden e Stephen Spender. 
Gustosi e inediti i ritratti che Isherwood traccia dei suoi amici: di Auden, ad esempio, scrive: 
A molti di noi, me compreso, confidò le prime piccanti, stupende, sbalorditive scoperte in materia di sesso. Lo ricordo soprattutto per la sua volgarità, per l’insolenza, per l’aria compiaciuta e stuzzicante di chi conosce segreti eccitanti e indecenti;
mentre del primo incontro con Spender ricorda: 
Ci piombò addosso arrossendo, ridacchiando forte e riuscì a inciampare nel bordo del tappeto: un ragazzone di diciannove anni immensamente alto, con una faccia rosso papavero, capelli irsuti e ingovernabili e occhi del colore vivace delle campanule.
Purtroppo, va detto con onestà che non tutte le parti del libro risultano avvincenti o scorrono con la stessa velocità: a volte le descrizioni delle trame di romanzi immaginati risultano un po’ noiose.
Forse ciò è dovuto al fatto che Isherwood è romanziere davvero grande quando si trova a dover descrivere la realtà che lo circonda e soprattutto le persone che frequenta. Non per nulla, nelle prime righe di Addio a Berlino (forse il suo capolavoro) si definisce come segue: 
Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto; non penso, accumulo passivamente impressioni.
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