Gli amici di Chris a Berlino

«No. Perfino ora non posso credere sul serio che tutto questo sia realmente accaduto…». 
Così termina Addio a Berlino di Christopher Isherwood, romanzo-diario pubblicato nel 1939 e narrante fatti svoltisi nella capitale tedesca tra il 1930 e il 1933, in piena ascesa del Nazismo. 

In quel periodo Isherwood risiedeva a Berlino – considerata da molti giovani inglesi una specie di città dove tutto era possibile, amore libero compreso – e con piglio di grande cronista trascriveva nelle pagine del suo romanzo-diario i fatti di cui era testimone (tra l’altro rivelando una capacità di analisi impressionante, se vista con il “senno di poi”): «Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto; non penso, accumulo passivamente impressioni» scrive nelle prime righe del libro.

Una definizione di se stesso assolutamente calzante per questo romanzo, nel quale Isherwood, pur essendone il protagonista (anche in veste di voce narrante), raramente si lascia sfuggire una nota sui sentimenti provati o pone gli altri personaggi in ombra rispetto a sé. 
Al contrario, Isherwood mette sotto i riflettori le persone con le quali diventa amico e le descrive al pubblico con attenzione e verità (senza nulla nascondere). 
A differenza di una meccanica macchina fotografica, però, l’autore non riesce a nascondere del tutto la simpatia (spesso si tratta di empatia) provata nei confronti dei propri personaggi-amici, anche quando ne fa un ritratto poco lusinghiero. 
In realtà, di tutti viene sempre disegnato un ritratto che, per un verso o per l’altro, non è lusinghiero: ad esempio, dell’aspirante giovanissima attrice Sally Bowles si descrivono le troppe avventure erotiche a fine di lucro; della coppia Peter Wilkinson e Otto Nowak il rapporto conflittuale, regolato da un accordo di tipo economico (con Peter che passa dei soldi al giovanissimo Otto), piuttosto che costruito su un affetto reciproco (è Peter, forse, ad amare, non riamato, l’altro); della famiglia Nowak la laida e maleodorante miseria e di Bernhard Landauer l’incapacità di accettarsi e di vivere rapporti sinceri con gli altri, narratore compreso che corteggia in modo a dir poco criptico. 
Un libro, quello di Isherwood, che a ragione è definito da molti un vero capolavoro.
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